R.A.M. 2015 Pedagogia dello sguardo

Ormai pedagogia è una parola desueta: per dare un segno della sua assoluta inadeguatezza a un certo lessico (e quindi pensiero) imperante, basti citare il caso della cosiddetta Buona scuola, il testo della nuova riforma della scuola. In esso semplicemente non compare mai.

Che cosa è successo? Siamo ancora la terra di Maria Montessori, Don Milani, Capitini e i tanti che hanno provato a sperimentare lo stare con i bambini come luogo in cui costruire la possibilità di democrazia e pace? Non è certo una mostra e il lavoro di un gruppo di artisti a rispondere a queste domande. Eppure.

Nel nostro territorio, intendo la Romagna e l'Emilia, le Marche in parte, nel dopoguerra si è creato un particolare humus naturale che ha creato una miriade di pratiche educative, ma soprattutto di riflessione educativa ovvero pedagogia, di qualità straordinaria. Uso la parola straordinario nel senso di qualcosa che, stando nell'ordine delle cose, ne muta la direzione, le fa tracimare e rende il futuro vivibile. Prendiamo l'esempio del CEIS di Rimini. Fu fondato a partire dal 1945 da un'insegnante socialista svizzera, Margherita Zoebeli che fu incaricata dal suo sindacato di seguire la costruzione di una scuola nella città di Fellini, portando la legna dalla Svizzera e le pietre dal posto. Che di pietre ce n'erano, visto che era una delle città più bombardate d'Italia. La linea del Rubicone invisibile aveva ancora definito le sorti di questo lembo di terra. Fu così che nacque il CEIS che fu uno di centri propulsivi della nuova pedagogia italiana, a cui collaborarono e si formarono anche architetti come Quaroni e De Carlo, mutuando linguaggio, pratiche, quesiti.

Fabrizia Ramondino, come ricorda Goffredo Fofi in un suo bel articolo apparso su La Repubblica del 2011, fu un'anche essa figlia di questa esperienza e grazie ad essa poi fondò l'asilo antiautoritario a Napoli. In un certo senso, se unissimo i puntini degli incontri e dei percorsi di vita, scopriremmo come esperienze come la Non scuola e Corpogiochi, Giallo dei Fanny & Alexander, tutte ravennati, sono le nipoti di quelle riflessioni e di quelle pratiche.

Ecco dunque che la domanda posta agli artisti vincitori del premio RAM 2015, una piccola e resiliente biennale dei giovani artisti legati al territorio di Ravenna, è partita da qui. Che cosa resta nel vostro sguardo della pedagogia. Non dell'arte come strumento pedagogico, sia chiaro: della pedagogia come relazione e dialogo, come esperienza anche privata, educazione in generale come ultimo rito collettivo di passaggio ancora presente in una società desacralizzata come la nostra.

Da questa constatazione è partito ad esempio Victor Fotso, artista camerunese formatosi all'Accademia di Ravenna e specializzato in ceramica a Faenza. L'esperienza del rito di passaggio collettivo del suo villaggio diventa un'occasione di ridefinizione della memoria biografica personale che diventa anch'essa collettiva, della partenza dal proprio paese d'origine, ultimo rito per l'ingresso nell'età adulta.

Diversa l'elaborazione di Caterina Morigi che, forse per contesto familiare, ha incrociato la propria curiosità per le intelligenze teorizzare da Gardner. Come rappresentare in figura un tema così apparentemente impalpabile? Ovviamente attraverso il corpo che lo esplicita e quindi il segno del disegno.

Sulla strada dell'indagine in qualche modo antropologica anche il lavoro di Nicola Baldazzi, allievo come molti dei fotografi ravennati di Guido Guidi, che si concentra su chi attiva diverse, piccole pedagogie resistenti. Pratiche di resilienza che agiscono in piccoli orti, in angoli di periferie urbane.

Silvia Bigi e Luca Maria Baldini, coppia artistica che per i progetti di arte sonora si firma UkiYo-E nel progetto Empathy lavorano proprio sul cuore della relazione pedagogica ovvero l'ascolto. Quel tassello che tanto viene evocato e poco attivato nelle pratiche scolastiche italiane, tutte concentrate sul l'emissione di un sapere codificato, poco attente alla creazione e alla ricezione del sapere dell'allievo/a.

La scoperta del mondo attraverso lo sguardo sull'altro è anche il filo conduttore del lavoro video di Miriam Dessì, FACS Facial Action Coding System. E il lavoro di Sara Vasini, una litania di ditali in cui emergono piccolissimi mosaici dal titolo Tu, rientra anche esso nell'interpretazione fortemente relazionale del tema. Il ditale, oggetto quasi dismesso del fare contemporaneo che però è piccolo scudo per creazioni immaginifiche di bellezza.

La riflessione pedagogica come sfida ad immaginare il futuro è invece la matrice da cui emerge il lavoro quasi da installazione di Dissenso Cognitivo, di cui siamo abituati a vedere i lavori che emergono dalla ruggine dei pannelli per strada. Vedere forme che acquisiscono un senso,ridare senso e significato allo sguardo perduto per strada sono solitamente i dati emergenti del lavoro di questo originalissimo artista dello spazio pubblico, che questa volta vediamo in museo e che ha operato ricreando uno spazio anche oggettuale, ampliando la cornice.

Che cos'è quindi la pedagogia? Non chiedetelo a noi, che la parola che possa squadrare non la possediamo, come scriveva Montale sempre sull'orlo della guerra. Ma quello che possiamo fare è proporre quesiti, stimolare le retine e i sensi, chiederci che fine ha fatto quel prezioso tesoro immateriale fatto di relazioni di crescita.

In un certo senso anche l'esperienza di RAM è stata in questi oltre quindici anni una forma di pedagogia relazionale tra curatori e artisti, incontro tra generazioni, condivisione di visioni e ascolto nutrito dal fare. Ce ne siamo accorti solo mentre chiudevamo il catalogo, perché in tutte le relazioni pedagogiche si cambia in due.

8,00 €
ISBN : 978-88-97980-23-0
Pagine : 60
Pubblicazione : Novembre 2015
Formato : 14,8 cm x 21 cm Brossura

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